Parrocchia di S. Egidio Abate in Gambettola

RELAZIONE RESTAURO

 

A Cura Della Dott.ssa
Maria Letizia Antoniacci

 

La Madonna delle Grazie, dunque ha subito diverse vicissitudini: dalla vecchia chiesa alla nuova, da una collocazione iniziale ad un'altra.
Non si creda che fosse una cosa strana ed insolita che un dipinto murale fosse spostato in diverse sedi: già Plinio e Vitruvio, gli storici romani, sono testimoniano di spostamenti di opere greche ed egizie trasportate a Roma; e anche Vasari, nel Rinascimento, ne dà testimonianza.
Bisogna dire che l'affresco è eseguito su un intonaco sottile (detto intonachino) di sabbia fine e calce, steso su un precedente intonaco più scabroso (detto arriccio) di materiale più grossolano, a sua volta applicato sulla muratura sopra il rinzaffo. I colori di origine minerale sono mescolati all'acqua o all'acqua di calce e applicati sull'intonaco fresco. La reazione chimica che avviene tra l'aria e la calce trasforma il materiale, duttile da bagnato, in carbonato di calcio, la stessa sostanza di cui è costituito il marmo di carrara, quindi un materiale molto duro e resistente, se correttamente conservato.

Lo stacco dell'affresco poteva avvenire per diversi motivi: motivi statici o decorativi degli edifici (demolizioni di altari e cappelle, problemi statici delle murature adiacenti, infiltrazioni di umidità irrimediabili, terremoti ecc.) cambio di culto, cambio dell'importanza del soggetto rappresentato...
Il primo sistema, quello descritto da Plinio e Vitruvio è il cosiddetto STACCO A MASSELLO.
Veniva eseguito armando il muro interessato dalla pittura con travi di legno e catene di ferro tutte attorno, demolendo in parte il muro retrostante e non interessato direttamente dalla pittura. Sono documentati stacchi a massello anche di 2,5 x 3 m. (un'intera abside in Puglia in una cripta basiliana).
La difficoltà di tale stacco è legata soprattutto all'equipaggiamento e al peso delle pitture da staccare.
Anche vicino a noi, a Cesena, la Madonna del Popolo in Duomo ha subito questo trattamento ed è stata spostata all'interno dell'edificio per ben 5 volte dal momento della sua realizzazione, intorno al 1520, fino alla collocazione definitiva della prima metà del '700; e il primo spostamento avvenne solo 70 anni dopo la realizzazione.

A questo tipo di trasferimento primitivo e rudimentale si sostituisce più tardi il distacco limitato al solo intonaco pittorico ( l'intonachino) e, successivamente alla sola pellicola pittorica (STACCO)e(STRAPPO).
La nostra Madonna ha subito sia lo stacco a massello, quando è stata trasportata dalla vecchia chiesa di Sant'Egidio del Bosco, sul confine con Bulgaria, sia il secondo procedimento, ovvero lo stacco, che secondo il metodo tradizionale era così eseguito: la superficie del dipinto veniva armata con tele applicate mediante colla forte (gelatina), la prima tela è un velo sottile, di cotone, che si adatti alle minime scabrosità della superficie, la seconda di canapa per irrobustire la presa. Attorno al velo e alla canapa veniva lasciato un margine esterno che viene a sua volta fissato con dei chiodi ad un telaio di legno che mantenesse in tensione la superficie pittorica durante lo stacco, per prevenire pieghe e modifiche della superficie. Con un mazzuolo di legno o di gomma si picchiettava la superficie dall'alto verso il basso per fare isolare l'intonachino dall'arriccio o se questo non fosse stato possibile, tutto l'intonaco dalla muratura.
Il telaio con il dipinto staccato si adagiava poi su una superficie piana e l'intonaco sul retro veniva demolito, tutto o in parte; in passato si applicava una rete metallica per rinforzare, attaccata con del gesso, o della malta di calce così che facesse corpo unico col telaio di legno; si passava poi a togliere i teli di protezione davanti, con acqua calda .
Attualmente, lo stacco dalle pareti, eseguito in modo un po' dissimile dall'antico metodo, si cerca di farlo solo in casi di assoluta necessità, quando non sia più possibile conservare l'opera nel suo stato originale, ovvero attaccata al muro tramite l'intonaco; questo per non perdere nessuna delle caratteristiche dell'opera stessa, compresa quella materica e tecnica. Inoltre si possono utilizzare collanti sintetici non acquosi per preservare quelle parti di dipinto che non siano state eseguite ad affresco ma che siano sensibili all'acqua (tempera).
Si capisce che tutte queste operazioni non erano, un tempo più di oggi, indolori per le opere, per difficoltà intrinseche del procedimento e per la perizia degli operatori che eseguivano l'intervento.

La nostra Madonna, dunque, ha subito prima il trauma dello stacco a massello, da un luogo che forse già era ammalorato, se è stato in seguito abbandonato.
E, presumibilmente nel secolo scorso, anche lo stacco dell'intonaco con applicazione, tramite una tela (e non una rete metallica come dicevo prima), su un pannello ligneo con un telaio di rinforzo del perimetro.


L'opera prima del restauro era completamente coperta da un patina che rendeva omogeneo l'aspetto ma non permetteva di identificare l'originalità di alcuna parte del dipinto; si potevano però vedere diversi generi di ritocco, ad olio come a tempera; l'osservazione a luce radente oltre che a luce riflessa mostrava una superficie notevolmente compromessa dalla presenza di stuccature, di varia natura ed incoerenti e da pieghe e rigonfiamenti nel supporto.
Le prove di pulitura eseguite confermavano che lo stato di conservazione era pessimo: le parti meglio conservate erano gli incarnati, mentre le altre campiture avevano subito notevoli perdite di materiale pittorico e manomissioni.
Durante l'intervento sono stati prelevati due piccolissimi campioni per sottoporre i materiali ad analisi identificative. Le analisi hanno comportato la preparazione di sezioni trasversali da osservare e fotografare al microscopio ottico in luce bianca riflessa. I materiali presenti sono stati individuati con microanalisi chimica per via umida e strumentale, test di solubilità e colorazione specifica. Le analisi hanno evidenziato come la base sulla quale la pittura murale è stata fatta aderire, è costituita per entrambi i campioni da una sorta di intonachino a legante carbonatico (ovvero calce), leggermente colorato, applicato in due mani. Il primo strato, più chiaro, contiene meno pigmenti rispetto al secondo che appare più rosato e contiene una componente proteica (infatti usava addizionare con colla o latte gli intonachini a base di calce usati per l'applicazione degli affreschi staccati sul nuovo supporto); fra la superficie di questo e lo strato sottilissimo originale si osserva una linea bruna di materiale proteico (forse usato per consolidare l'originale dal retro ). Entrambi i campioni sono coperti da un materiale bruno di tipo proteico, costituente la patina che copriva tutta la superficie. L'incarnato della Madonna da cui è stato prelevato uno dei campioni è ottenuto applicando un unico strato di ocra rossa legata con carbonato di calcio. Nel campione proveniente dalla veste rossa la coloritura è ottenuta applicando lo strato finale rosso intenso vermiglio con legante proteico (tempera) su di una base di colore aranciato di ocra rossa, il cui legante non è stato identificato per l'esiguità del materiale presente sul campione.
E' presumibile che anche il legante della coloritura blu del manto fosse proteico: le poche parti originali residue sono sensibili all'umidità se applicata insistentemente. Non è stato prelevato alcun campione per le analisi perché non era possibile identificare prima della pulitura una zona dove fosse presente anche materiale originale.
Si pensa che l'esiguità delle tracce di campitura blu possa derivare dalla rimozione dei teli protettivi usati durante lo stacco (sicuramente applicati all'epoca con colla forte) ; anche la corona dipinta della Madonna ha subito delle abrasioni per applicazioni di acqua.
La campitura bruno - rossiccia che costituisce lo sfondo era notevolmente manomessa da stuccature di natura diversa (gesso colorato , gesso da presa bianco, carbonato di calcio colorato) e su diversi livelli, oltre allo strato superficiale bruno.
Il restauro doveva soprattutto interessarsi di ridare ordine al dipinto, eliminando il più possibile le parti non originali incoerenti, scoprendo le parti originali anche coperte da stuccature e altri materiali e mantenerle identificabili, integrando le parti mancanti senza stravolgere la percezione dell'originale.
Il primo passo, la pulitura, è stata eseguita utilizzando con attenzione sistemi acquosi diversi a seconda delle fasi, delle condizioni , della sensibilità zone da trattare e dei materiali da rimuovere ( acqua distillata, acqua ossigenata a 24 volumi, soluzione di bicarbonato d'ammonio, alcool etilico puro), per rimuovere la patinatura e i ritocchi a tempera, oltre che per ammorbidire stucchi da rimuovere a bisturi; i ritocchi oleosi sono stati rimossi con applicazione localizzata di butilammina e acetone. Durante la pulitura, quando necessario, sono stati eseguiti piccoli consolidamenti con iniezioni di un consolidante acrilico in emulsione acquosa.
Al termine della pulitura la situazione era abbastanza disastrosa per quanto riguarda le zone di fondo, il manto blu e la veste rossa; è stato necessario stuccare piccole e grandi lacune, utilizzando uno stucco a base di emulsione acrilica, polvere di marmo a granulometria fine per gli incarnati e le figure, e polvere di marmo a granulometria maggiore, simile a quella dell'opera, per il fondo, con pigmenti colorati.
L'integrazione pittorica è stata eseguita a tratteggio con acquerelli cercando di ridare leggibilità alle parti senza appesantirle.