La Madonna delle Grazie, dunque ha subito diverse
vicissitudini: dalla vecchia chiesa alla nuova, da una
collocazione iniziale ad un'altra.
Non si creda che fosse una cosa strana ed insolita che un
dipinto murale fosse spostato in diverse sedi: già Plinio e
Vitruvio, gli storici romani, sono testimoniano di
spostamenti di opere greche ed egizie trasportate a Roma; e
anche Vasari, nel Rinascimento, ne dà testimonianza.
Bisogna dire che l'affresco è eseguito su un intonaco
sottile (detto intonachino) di sabbia fine e calce, steso su
un precedente intonaco più scabroso (detto arriccio) di
materiale più grossolano, a sua volta applicato sulla
muratura sopra il rinzaffo. I colori di origine minerale
sono mescolati all'acqua o all'acqua di calce e applicati
sull'intonaco fresco. La reazione chimica che avviene tra
l'aria e la calce trasforma il materiale, duttile da
bagnato, in carbonato di calcio, la stessa sostanza di cui è
costituito il marmo di carrara, quindi un materiale molto
duro e resistente, se correttamente conservato.
Lo stacco dell'affresco poteva avvenire per
diversi motivi: motivi statici o decorativi degli edifici
(demolizioni di altari e cappelle, problemi statici delle
murature adiacenti, infiltrazioni di umidità irrimediabili,
terremoti ecc.) cambio di culto, cambio dell'importanza del
soggetto rappresentato...
Il primo sistema, quello descritto da Plinio e Vitruvio è il
cosiddetto STACCO A MASSELLO.
Veniva eseguito armando il muro interessato dalla pittura con
travi di legno e catene di ferro tutte attorno, demolendo in
parte il muro retrostante e non interessato direttamente dalla
pittura. Sono documentati stacchi a massello anche di 2,5 x 3 m.
(un'intera abside in Puglia in una cripta basiliana).
La difficoltà di tale stacco è legata soprattutto
all'equipaggiamento e al peso delle pitture da staccare.
Anche vicino a noi, a Cesena, la Madonna del Popolo in Duomo ha
subito questo trattamento ed è stata spostata all'interno
dell'edificio per ben 5 volte dal momento della sua
realizzazione, intorno al 1520, fino alla collocazione
definitiva della prima metà del '700; e il primo spostamento
avvenne solo 70 anni dopo la realizzazione.
A questo tipo di trasferimento primitivo e
rudimentale si sostituisce più tardi il distacco limitato al
solo intonaco pittorico ( l'intonachino) e, successivamente alla
sola pellicola pittorica (STACCO)e(STRAPPO).
La nostra Madonna ha subito sia lo stacco a massello, quando è
stata trasportata dalla vecchia chiesa di Sant'Egidio del Bosco,
sul confine con Bulgaria, sia il secondo procedimento, ovvero lo
stacco, che secondo il metodo tradizionale era così eseguito: la
superficie del dipinto veniva armata con tele applicate mediante
colla forte (gelatina), la prima tela è un velo sottile, di
cotone, che si adatti alle minime scabrosità della superficie,
la seconda di canapa per irrobustire la presa. Attorno al velo e
alla canapa veniva lasciato un margine esterno che viene a sua
volta fissato con dei chiodi ad un telaio di legno che
mantenesse in tensione la superficie pittorica durante lo
stacco, per prevenire pieghe e modifiche della superficie. Con
un mazzuolo di legno o di gomma si picchiettava la superficie
dall'alto verso il basso per fare isolare l'intonachino
dall'arriccio o se questo non fosse stato possibile, tutto
l'intonaco dalla muratura.
Il telaio con il dipinto staccato si adagiava poi su una
superficie piana e l'intonaco sul retro veniva demolito, tutto o
in parte; in passato si applicava una rete metallica per
rinforzare, attaccata con del gesso, o della malta di calce così
che facesse corpo unico col telaio di legno; si passava poi a
togliere i teli di protezione davanti, con acqua calda .
Attualmente, lo stacco dalle pareti, eseguito in modo un po'
dissimile dall'antico metodo, si cerca di farlo solo in casi di
assoluta necessità, quando non sia più possibile conservare
l'opera nel suo stato originale, ovvero attaccata al muro
tramite l'intonaco; questo per non perdere nessuna delle
caratteristiche dell'opera stessa, compresa quella materica e
tecnica. Inoltre si possono utilizzare collanti sintetici non
acquosi per preservare quelle parti di dipinto che non siano
state eseguite ad affresco ma che siano sensibili all'acqua
(tempera).
Si capisce che tutte queste operazioni non erano, un tempo più
di oggi, indolori per le opere, per difficoltà intrinseche del
procedimento e per la perizia degli operatori che eseguivano
l'intervento.
La nostra Madonna, dunque, ha subito prima il
trauma dello stacco a massello, da un luogo che forse già era
ammalorato, se è stato in seguito abbandonato.
E, presumibilmente nel secolo scorso, anche lo stacco
dell'intonaco con applicazione, tramite una tela (e non una rete
metallica come dicevo prima), su un pannello ligneo con un
telaio di rinforzo del perimetro.
L'opera prima del restauro era completamente coperta da un
patina che rendeva omogeneo l'aspetto ma non permetteva di
identificare l'originalità di alcuna parte del dipinto; si
potevano però vedere diversi generi di ritocco, ad olio come a
tempera; l'osservazione a luce radente oltre che a luce riflessa
mostrava una superficie notevolmente compromessa dalla presenza
di stuccature, di varia natura ed incoerenti e da pieghe e
rigonfiamenti nel supporto.
Le prove di pulitura eseguite confermavano che lo stato di
conservazione era pessimo: le parti meglio conservate erano gli
incarnati, mentre le altre campiture avevano subito notevoli
perdite di materiale pittorico e manomissioni.
Durante l'intervento sono stati prelevati due piccolissimi
campioni per sottoporre i materiali ad analisi identificative.
Le analisi hanno comportato la preparazione di sezioni
trasversali da osservare e fotografare al microscopio ottico in
luce bianca riflessa. I materiali presenti sono stati
individuati con microanalisi chimica per via umida e
strumentale, test di solubilità e colorazione specifica. Le
analisi hanno evidenziato come la base sulla quale la pittura
murale è stata fatta aderire, è costituita per entrambi i
campioni da una sorta di intonachino a legante carbonatico
(ovvero calce), leggermente colorato, applicato in due mani. Il
primo strato, più chiaro, contiene meno pigmenti rispetto al
secondo che appare più rosato e contiene una componente proteica
(infatti usava addizionare con colla o latte gli intonachini a
base di calce usati per l'applicazione degli affreschi staccati
sul nuovo supporto); fra la superficie di questo e lo strato
sottilissimo originale si osserva una linea bruna di materiale
proteico (forse usato per consolidare l'originale dal retro ).
Entrambi i campioni sono coperti da un materiale bruno di tipo
proteico, costituente la patina che copriva tutta la superficie.
L'incarnato della Madonna da cui è stato prelevato uno dei
campioni è ottenuto applicando un unico strato di ocra rossa
legata con carbonato di calcio. Nel campione proveniente dalla
veste rossa la coloritura è ottenuta applicando lo strato finale
rosso intenso vermiglio con legante proteico (tempera) su di una
base di colore aranciato di ocra rossa, il cui legante non è
stato identificato per l'esiguità del materiale presente sul
campione.
E' presumibile che anche il legante della coloritura blu del
manto fosse proteico: le poche parti originali residue sono
sensibili all'umidità se applicata insistentemente. Non è stato
prelevato alcun campione per le analisi perché non era possibile
identificare prima della pulitura una zona dove fosse presente
anche materiale originale.
Si pensa che l'esiguità delle tracce di campitura blu possa
derivare dalla rimozione dei teli protettivi usati durante lo
stacco (sicuramente applicati all'epoca con colla forte) ; anche
la corona dipinta della Madonna ha subito delle abrasioni per
applicazioni di acqua.
La campitura bruno - rossiccia che costituisce lo sfondo era
notevolmente manomessa da stuccature di natura diversa (gesso
colorato , gesso da presa bianco, carbonato di calcio colorato)
e su diversi livelli, oltre allo strato superficiale bruno.
Il restauro doveva soprattutto interessarsi di ridare ordine al
dipinto, eliminando il più possibile le parti non originali
incoerenti, scoprendo le parti originali anche coperte da
stuccature e altri materiali e mantenerle identificabili,
integrando le parti mancanti senza stravolgere la percezione
dell'originale.
Il primo passo, la pulitura, è stata eseguita utilizzando con
attenzione sistemi acquosi diversi a seconda delle fasi, delle
condizioni , della sensibilità zone da trattare e dei materiali
da rimuovere ( acqua distillata, acqua ossigenata a 24 volumi,
soluzione di bicarbonato d'ammonio, alcool etilico puro), per
rimuovere la patinatura e i ritocchi a tempera, oltre che per
ammorbidire stucchi da rimuovere a bisturi; i ritocchi oleosi
sono stati rimossi con applicazione localizzata di butilammina e
acetone. Durante la pulitura, quando necessario, sono stati
eseguiti piccoli consolidamenti con iniezioni di un consolidante
acrilico in emulsione acquosa.
Al termine della pulitura la situazione era abbastanza
disastrosa per quanto riguarda le zone di fondo, il manto blu e
la veste rossa; è stato necessario stuccare piccole e grandi
lacune, utilizzando uno stucco a base di emulsione acrilica,
polvere di marmo a granulometria fine per gli incarnati e le
figure, e polvere di marmo a granulometria maggiore, simile a
quella dell'opera, per il fondo, con pigmenti colorati.
L'integrazione pittorica è stata eseguita a tratteggio con
acquerelli cercando di ridare leggibilità alle parti senza
appesantirle.
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